Il docufilm prodotto da Centergross al Festival di Tokyo, il regista Alex Leardini: «Bologna è un polo della moda, lo dice la storia»
Alex Leardini ha portato sullo schermo lo storico legame tra Bologna e la moda attraverso il suo docufilm “Bologna: arte, moda e cultura”. Questo lavoro, realizzato in collaborazione con Centergross, ha ottenuto la selezione speciale nella categoria “best editing” del Tokyo Short Film Festival. Nel corso di questa intervista, esploreremo in dettaglio il processo creativo di Leardini, le sfide incontrate lungo il cammino e le scelte narrative che hanno contribuito a delineare il lungo percorso che ha portato alla nascita del Pronto Moda Made in Italy, il modello di business nato proprio all’interno di Centergross. Un’occasione per comprendere meglio il contesto e le motivazioni che hanno guidato la realizzazione di questo film, senza escludere gli ostacoli affrontati lungo il percorso.
Qual è stato il processo di ricerca e produzione per raccogliere le informazioni e le interviste presenti nel docufilm?
Per quanto riguarda la scelta degli intervistati siamo rimasti fedeli ai consigli del direttore artistico Roberto Corbelli. Abbiamo dato spazio e voce a chi vive di ciò che racconta, affermati e comprovanti professionisti dei settori artistici e storici. Da lì è più nata di conseguenza la sceneggiatura completa e a ruota la scelta delle location.
Come hai reagito quando hai saputo che il tuo docufilm è stato selezionato dal Tokyo Short Film Festival?
Naturalmente quando sono venuto a conoscenza del fatto che il TISFF aveva ufficialmente selezionato il nostro film sono rimasto molto lusingato.
Che tipo di impatto pensi che il docufilm abbia avuto sul pubblico giapponese?
Credo che il Giappone abbia sempre un dei suoi mille occhi rivolti verso l’Italia. Abbiamo sempre dimostrato di eccellere in diversi campi, uno tra tutti la moda.
Ci sono stati dei momenti particolarmente significativi durante la produzione del documentario che desideri condividere?
Sia io che tutto lo staff presente sul set, ogni volta che davano il ciak, venivamo rapiti dai “racconti di cultura” che gli intervistati stavano regalando al prossimo. Ho vissuto l’intera produzione come un arricchimento personale.
Qual è il messaggio principale che speravi di trasmettere al pubblico attraverso il docufilm?
Più che un messaggio è una conferma: esiste ormai un quarto polo moda in Italia, a conferma della sua esistenza ci sono anni di storia che ce lo raccontano.